L’ufficio per chi sa muoversi

Data di pubblicazione: 28 APR 2017
Creare uno spazio ufficio diviso in aree funzionali è una scelta vincente. Ma solo per chi non vuole stare fermo
 
In un momento storico di  transizione da un nuovo a un vecchio modello produttivo è facile vedere un susseguirsi di diverse soluzioni di organizzazione dello spazio ufficio. È quello che stiamo vedendo anche ora, in un frangente in cui le aziende stanno rivedendo dalle fondamenta tutto il loro impianto legato allo stile di lavoro. La ricerca del nuovo spazio ufficio ha al momento un candidato in netta ascesa rispetto agli altri, l’Activity Based Working (ABW). Si tratta della divisione dello spazio ufficio in aree funzionali e presuppone che la persona si sposti da una all’altra a seconda del tipo di attività che deve compiere. I sostenitori di questo modello fanno notare come chi opera in ufficio svolga in media 10 diverse attività ogni giorno e che non esista singola postazione di lavoro capace di supportarle tutte a pieno. Dedicare una specifica area ad ognuna di queste attività garantisce invece che possano essere svolte tutte al meglio. Il modello permette anche di aumentare l’interazione e il lavoro di squadra tra i dipendenti, oltre che di combatterne la sedentarietà. 
L’Activity Based Working sta conquistando sempre più consensi tra i Facility Manager e diventando il sinonimo di “azienda proiettata al futuro che abbraccia il cambiamento”. Che l’ABW sia una soluzione di organizzazione dello spazio altamente suggestiva e di forte rottura con il passato è fuori di dubbio. Resta però da rispondere a una domanda semplice quanto ingombrante: funziona?
IFMA Sweden e Leesman hanno condotto una ricerca approfondita a livello mondiale su un campione di 598 aziende proprio per capire se l’ABW, al di là delle suggestioni, porti effettivamente al momento dei vantaggi in termini produttività dei dipendenti. Un’analisi veloce dei risultati suggerisce una risposta abbastanza chiara: no.
Comparando le risposte di chi opera in un ambiente di tipo ABW e di chi lavora in uffici dal layout più tradizionale si vede che questi ultimi registrano punteggi superiori in tutti gli indicatori chiave relativi alla produttività e allo spirito di appartenenza all’azienda. Il personale che vive quotidianamente l’ABW mostra punteggi percentuali di soddisfazione del 20-30% più bassi per voci come il lavoro individuale, il pensiero creativo, l’accoglienza dei clienti esterni e i meeting informali. Il gap con l’ufficio tradizionale si riduce, ma rimanendo sempre superiore al 10%, per attività più “sociali” come le interazioni informali e il lavoro di squadra. 
Prima di farsi prendere dal panico e ritornare precipitosamente a riempire lo spazio di scrivanie è forse il caso di analizzare più nel dettaglio i risultati e vedere quale messaggio nascondono appena sotto la superficie. Basta infatti tenere in considerazione la propensione dei singoli impiegati ad adottare realmente il nuovo layout e lo stile di lavoro che comporta per veder sorgere nettissime differenze nei livelli di soddisfazione all’interno del campione. Chi ha un approccio dinamico allo spazio funzionale mostra in realtà forti miglioramenti nel livello di performance. L’esatto opposto si registra per chi mantiene uno stile di lavoro tradizionale anche nel nuovo layout. Per chiarire ancor meglio la differenze all’interno del campione, la ricerca ha chiesto agli intervistati di descrivere il proprio livello di mobilità in ufficio, giungendo così a isolare quattro “archetipi” di lavoratore e abbinarli a diversi livelli di soddisfazione relativi all’ABW:
  • Il campeggiatore (o squatter) vive ancorato alla propria postazione, senza mai esplorare le altre aree dell’ufficio. Questa categoria compone il 40% del campione complessivo e il 32% del sottocampione che opera in un ufficio organizzato per aree funzionali. 
  • Il viaggiatore insicuro rimane fortemente attaccato alla propria postazione, ma ogni tanto si avventura anche in altre aree dell’ufficio per svolgere qualche compito. È la categoria più rappresentata (41%) negli uffici ABW del campione, un dato che da solo rende evidente quanto poco vengano attualmente sfruttate le potenzialità di questo stile di layout nelle aziende considerate.
  • L’intrepido esploratore ha invece abbracciato in misura soddisfacente il nuovo stile di organizzazione dello spazio: svolge molte delle sue attività in una singola area funzionale, ma molto spesso si muove per raggiungerne altre. Chi appartiene a questa categoria sfrutta le potenzialità del’ABW in misura soddisfacente e mostra infatti un livello di produttività sopra la media e un forte attaccamento all’azienda. Rappresenta però solo il 18% del campione.
  • Il vero nomade, infine, è difficile da trovare. Sia perché è in continuo movimento all’interno dell’ufficio, sia perché è elemento raro all’interno delle aziende considerate, rappresentando appena il 9% degli intervistati. La sua produttività è però ben oltre la media e l’attaccamento all’azienda fortissimo.
     
Già il solo considerare la distribuzione di questi quattro archetipi all’interno del campione rende perciò evidente un problema: il 73% degli intervistati appartiene alla prime due categorie e quindi non sfrutta le potenzialità dell’ambiente. Anzi, per il loro stile di lavoro “sedentario”, una disposizione dell’ambiente per aree funzionali rischia di essere addirittura controproducente, portando a livelli di produttività e di attaccamento all’azienda mediocri o insufficienti. In altri termini, il vero ostacolo sulla strada dell’Activity Based Working è la sedentarietà degli impiegati. Creare uno spazio organizzato per aree funzionali perciò non basta, anzi può essere controproducente: la maggior parte del personale non si adatterà spontaneamente ad esso, ma tenderà a perpetuare uno stile di lavoro tradizionale che mal si adatta al nuovo layout. Ciò non potrà che portare un calo nel livello di soddisfazione del singolo dipendente e scarsi risultati complessivi per ciò che riguarda la produttività, con tutti i problemi che da ciò derivano per l’azienda.
Organizzare lo spazio secondo i dettami dell’ABW perciò richiede uno sforzo parallelo di formazione del personale, che va incoraggiato attivamente a muoversi nel nuovo ambiente per scoprirne le potenzialità. L’Activity Based Working non è un cambiamento dello spazio, quanto piuttosto una profonda modifica del comportamento e della mentalità delle persone. Ed è solo ragionando in questi termini che si possono realmente liberare le potenzialità di questo nuovo approccio.
È poi importante considerare che l’ABW non è la risposta a qualunque domanda. La ricerca mostra che questa soluzione, se ben implementata, migliora le performance in molte delle attività quotidianamente svolte in un ufficio, ma con alcune non trascurabili eccezioni:
 
  • Livello di concentrazione individuale: gli ambienti ABW mostrano performance sottomedia in questa area. Il risultato negativo è però ampiamente compensato da un incremento del 20% nella soddisfazione dei dipendenti rispetto all’ufficio tradizionale per ciò che riguarda il livello di concentrazione per ogni attività svolta lontano dalla propria postazione.
  • Privacy: in quest’area l’ABW non sembra portare benefici, se non per chi appartiene al profilo “vero nomade” che registra un maggior livello di soddisfazione anche per questa voce.
  • Carta: i livelli di soddisfazione per l’ABW scendono sotto media per ciò che riguarda la gestione dei documenti in carta da parte dei dipendenti. Detto in altri termini, in questo tipo di ambiente spargere fogli di carta sulla scrivania diventa impresa non semplice. Trattandosi di una pratica comune in molti uffici, l’unica alternativa per ovviare al problema è che le aziende puntino decisamente sulla digitalizzazione per ridurre l’impiego di carta.
     
Secondo la ricerca però i vantaggi di una buona implementazione dell’ABW sorpassano ampiamente gli svantaggi. La creatività ad esempio riceve una spinta notevole, e d’altra parte non è difficile immaginare che le persone possano aprire maggiormente la mente e produrre più idee mentre sono rilassate su un comodo divano all’interno di un setting informale, rispetto a quando sono sedute alla scrivania di un ufficio o di un cubicolo. Ma, anche in questo caso, l’importante è che la persona sia disposta a muoversi per raggiungere l’area informale e il divano.
L’ABW registra inoltre altissimi livelli di soddisfazione tra i dipendenti per quanto riguarda le riunioni informali. Un alto gradimento che coinvolge anche i più sedentari tra i quattro modelli di comportamento visti in precedenza. 
In definitiva, organizzare lo spazio ufficio sul concetto dell’Active-based Working è una scelta che paga forti dividendi per organizzazioni che puntano molto sulla creatività e sul lavoro di squadra. Può invece essere una scelta controproducente per aziende i cui dipendenti svolgono la maggior parte del loro lavoro in solitudine e maneggiando molti documenti cartacei.
L’elemento chiave per la creazione di un buon ambiente ABW è la varietà. Ciò non significa però permettere semplicemente alle persone di scegliere di volta in volta la scrivania dove lavorare; questo crea solo l’illusione di una scelta, non un ambiente davvero flessibile. E non si tratta nemmeno di creare il maggior numero di ambienti possibili, quanto piuttosto di analizzare tipo, numero e frequenza delle attività svolte in ufficio e disegnare uno spazio che sia un fedele specchio di questi dati. In altre parole, bisogna comprendere come le persone lavorino e creare un ufficio capace di esaltare questi stili di lavoro.
Come ultimo dato è giusto notare che, seppur in evidente ascesa di popolarità, il modello dell’ABW secondo la ricerca al momento è ancora ben lontano dal poter esser definito “ampiamente diffuso”. Il 23% degli intervistati lavora ancora in uffici chiusi, sia privati che condivisi, e il 57% in open space divisi in cubicoli. Solo il 4% lavora in ufficio organizzato per aree funzionali. Una percentuale che sembra però destinata a crescere nel prossimo futuro.
 
Fonti:
Activity Based Working - The rise and rise of ABW: Reshaping the physical, virtual and behavioural workspace - Leesman
“Research Insights on Activity-based Working” di Eleanor Forster. FMJ – Gennaio-Febbraio 2017