MANDIAMO GLI IMPIEGATI STATALI A SCUOLA - L'Istituto Superiore della PA

Data di pubblicazione: 01 NOV 2008

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La direttrice dell’istituto superiore della PA non ha dubbi: la disciplina delle facility aiuta ad affrontare i problemi in una prospettiva unitaria aumentando l’efficienza. Un salto culturale che sarebbe facilitato anche dall’integrazione di esperienze pubbliche e private

È ormai convinzione diffusa, all’interno del settore del Facility Management, che gli ostacoli che ancora si frappongono alla completa diffusione della disciplina all’interno della Pubblica Amministrazione siano soprattutto di ordine culturale. Se questo è vero, la formazione rappresenta senz’altro la via maestra per rendere il Facility Management parte integrante dell’evoluzione del settore pubblico. Per capire meglio quali rapporti possano intercorrere tra formazione, PA e FM, ci siamo rivolti ad una fonte autorevole: Valeria Termini, Direttrice della Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione.
A suo parere, il Facility Management può avere un ruolo nel creare maggiore efficienza nella PA?
Sicuramente sì. L’individuazione di un preciso quadro concettuale o, meglio, di una prospettiva unitaria per affrontare un problema permette di agire su più fronti e di raggiungere una maggiore efficienza. Spesso si pensa ad una Pubblica Amministrazione poco efficiente per mancanza di impegno da parte dei dipendenti pubblici. In realtà, in molti casi, il problema non è dato dall’impegno individuale, ma da una parcellizzazione di procedure e competenze, nonché dalla mancanza di politiche unitarie e convergenti.
Faccio un esempio per rendere tutto più chiaro. Una situazione analoga si è avuta per il diritto alla Privacy: fino a che non si è arrivati a una disciplina unitaria di riferimento, soggetti pubblici e privati tenevano, spesso inconsapevolmente, comportamenti che di fatto risultavano lesivi di un diritto. La cosa paradossale è che nemmeno i titolari del diritto violato ne erano consapevoli, quindi il meccanismo della tutela non arrivava ad attivarsi.
Il Facility Management, come disciplina unitaria ha dunque un grande merito da questo punto di vista, poiché permette di realizzare politiche chiare, sulla base delle quali leggere, collocare e interpretare azioni e comportamenti anche dal punto di vista dell’efficienza cui tendere.
Quale peso può avere la formazione nel permettere una diffusione più ampia del FM all’interno delle PA?
La formazione ha senz’altro un ruolo centrale, quando si tratta di trasmettere una nuova e diversa visione delle cose. Nel caso del Facility Management può creare, ad esempio, quei collegamenti fra i temi ambientali del risparmio energetico, di attenzione alla salute e alla sicurezza che, se correttamente proposti, possono creare una diversa prospettiva nell’affrontare il tema del bene comune. Questa prospettiva deve appartenere all’agire pubblico, prima di tutto nella diffusione dei valori di riferimento. 
Ma non va sottovalutato l’aspetto della “messa in pratica”: l’applicazione del Facility Management deve essere declinata anche in termini di efficienza e con una seria attenzione alla qualità, elementi sui quali, onestamente, vi sono ancora margini di miglioramento in molte Pubbliche Amministrazioni. Lo spazio sul quale intervenire con la formazione, dunque, è davvero ampio e richiede un serio impegno sia progettuale che operativo.
Per quello che riguarda direttamente il mio ruolo, sono convinta che su temi come questo sia necessario agire mantenendo due riferimenti fondamentali: da una parte l’insieme delle Scuole Pubbliche, soprattutto quelle dei Paesi europei, per creare strategie comuni di intervento come già cominciamo a fare in altri ambiti tematici; dall’altra occorre invece mantenere un rapporto molto stretto con le Amministrazioni italiane, per capire quali siano le reali esigenze e i gap che la nostra formazione può veramente contribuire a colmare.
Quali caratteristiche specifiche dovrebbe avere questo processo formativo per essere realmente efficace nell’ambito della PA?
La formazione per le Pubbliche Amministrazioni deve tenere presente due aspetti fondamentali: l’attenzione ai valori di riferimento del funzionario pubblico da una parte e quella al cambiamento delle competenze richieste dall’altra. Se si agisce solo su alcuni di questi aspetti la formazione non si innesterà realmente nel tessuto delle amministrazioni.
Per quello che riguarda il Facility Management, trovo sia opportuno realizzare una diffusione capillare della sensibilità verso queste tematiche, così da creare le condizioni favorevoli allo sviluppo di nuovi modi di operare.
È poi fondamentale far conoscere il più possibile quelle esperienze concrete che hanno dimostrato come sia possibile realizzare cambiamenti effettivi nelle specifiche realtà della Pubblica Amministrazione.
Il processo di diffusione della disciplina in realtà è già in atto, ma molte volte semplicemente non lo si etichetta come tale. Ad esempio, la creazione del Mercato Elettronico per gli acquisti della Pubblica Amministrazione è una delle più recenti operazioni di razionalizzazione della spesa pubblica e rappresenta una buona pratica di Facility Management.
A questa iniziativa andrebbe ora aggiunta una riflessione di più ampio respiro, ad esempio sul significato che può derivarne per l’ambiente.
Crede che il processo formativo possa essere organizzato in modo da creare professionalità capaci di integrare al meglio le competenze e le best practice presenti sia nel settore privato che in quello pubblico?
È indispensabile che i processi formativi realizzino l’integrazione fra le esperienze delle realtà private e di quelle pubbliche: il mondo è uno solo, l’ambiente è uno solo, le regole della qualità, della tutela della salute sono le stesse per tutti. Un intervento formativo su questi temi che tenti di segmentare la realtà sarebbe artificioso.
Per questo motivo nel svolgere il mio ruolo di Direttrice della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione pongo un forte impegno nel promuovere, nell’ambito delle strategie formative, l’integrazione tra esperienze pubbliche e private. Con una precisa regola di riferimento: l’integrazione deve partire dai casi di eccellenza raggiunti.