Alla ricerca di un Pubblico sofisticato

Data di pubblicazione: 15 GIU 2022
Come rifondare il rapporto tra Pubblico e Privato per dare un nuovo impulso ai servizi. L’intervista a Veronica Vecchi.
 
La storia del rapporto tra pubblica amministrazione e settore privato nel campo dei servizi è lunga, complessa e, fino ad oggi, senza un lieto fine. Le enormi sfide che si profilano a breve e lungo termine per il settore pubblico richiedono però alla PA di trovare una nuova via vincente alla collaborazione con il Privato e di farlo anche in tempi, per quanto possibile, ridotti. È un’impresa possibile? Lo abbiamo chiesto a Veronica Vecchi, Professor of Practice, Business Government Relations, SDA Bocconi, la Scuola di Management dell'Università Bocconi.
Qual è oggi il panorama legato all’utilizzo dello strumento del partenariato pubblico privato?
Per prima cosa è importante chiarire qual è l’essenza delle collaborazioni tra Pubblico e Privato: sono modelli fondamentali per realizzare investimenti di lungo termine mirati a obiettivi sostenibili di sviluppo a favore della collettività. Ed è secondo me evidente che oggi il settore pubblico da solo non è in grado di raggiungere questi obiettivi.
Perché?
Per due ordini di motivi. In primo luogo c’è una carenza di capitali. In Italia, per perseguire questi obiettivi di interesse collettivo, occorrerebbero fondi pari allo 0,8% del PIL, un ammontare tutto sommato non eccessivo, ma di cui il settore pubblico non dispone. Nel Paese però queste risorse esistono: pensiamo anche solo al fatto che la liquidità a disposizione delle famiglie italiane è pari al PIL. Se poi consideriamo tutte le attività finanziarie, esclusi gli investimenti patrimoniali, arriviamo a una ricchezza privata stimabile in un 200% del PIL. Ed è utile ricordare una ricerca del Censis e dall’Associazione Italiana Private Banking, condotta poco prima del lockdown del marzo 2020, da cui emerge che il 40-50% delle famiglie italiane sarebbero propense a investire in un miglioramento dei servizi pubblici.
Qual è il secondo ostacolo alle iniziative del settore pubblico?
Oggi abbiamo servizi pubblici fondati su concetti troppo lontani dalla granularità dei fabbisogni dei cittadini. Penso ad esempio alle famiglie della classe media nei grandi centri urbani, che avrebbero bisogno di accedere a una vasta gamma di servizi che le PA da sole non possono erogare. Il settore privato al contrario sarebbe in grado di offrirli, ma segue logiche che purtroppo non garantiscono un elemento fondamentale: l’equità sociale nell’accesso ai servizi. 
Qual è allora la soluzione?
Dobbiamo rifondare il modo di affrontare il tema dei servizi su nuove logiche capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e a criteri di sostenibilità. Abbiamo un sistema di appalti pubblici che non è stato studiato per stimolare la creazione di nuovi modelli. Veniamo da dieci anni di spending review in cui l’obiettivo principale era contenere e razionalizzare i costi. Ma oggi il mondo è diverso, caratterizzato da politiche più espansive. Le risorse potenzialmente ci sono, ma perché vengano sfruttate in modo efficace è necessario che la Pubblica Amministrazione assuma un ruolo di catalizzatore non solo degli investimenti privati, ma anche da stimolo per lo sviluppo di nuove competenze da parte del mercato. 
Nel concreto perciò come dovrebbe agire la PA?
Deve diventare un buyer sofisticato, che si rivolge al privato non per cercare un prodotto con precise caratteristiche, ma presentando un’esigenza e chiedendo che il mercato trovi la soluzione migliore per soddisfarla.
Vi sono le condizioni per questa trasformazione?
Da parte di molte aziende c’è la spinta verso una partnership con il Pubblico, ma le Amministrazioni sono spesso restie a percorrere la strada del partenariato anche perché spesso non trovano un interlocutore sofisticato che offra soluzioni evolute. 
I servizi oggi devono rispondere a esigenze molto complesse. Il partenariato pubblico privato nella forma della concessione è uno strumento potenzialmente in grado di fornire modelli evoluti in grado di rispondere a queste esigenze, perché può mobilitare non solo capitali, ma anche spingere alla progettazione e messa in atto di soluzioni innovative. Perché ciò accada chiaramente il soggetto privato deve essere incentivato a generare soluzioni innovative, attraverso l’assunzione di un rischio operativo, che è proprio l’elemento che contraddistingue l’istituto della concessione da quello dell’appalto. Nel semplice appalto non viene trasferito il rischio operativo e ciò fa tutta la differenza del mondo.
Come dovrebbe proporsi perciò il privato per attirare l’interesse della PA?
Molti operatori economici presentano proposte ad iniziativa privata, soluzione molto efficace, consigliata anche da Anac. È uno strumento molto rapido e dà la possibilità alla PA di entrare in un confronto diretto e trasparente con l’operatore economico. 
Resta però la difficoltà da parte dell’operatore privato nel comprendere davvero le necessità della PA e spesso vedo anche molti operatori economici poco preparati nell’individuare soluzioni innovative. Il tema delle competenze non riguarda solo la PA ma anche il mercato. Poi chiaramente esiste un tema di fiducia reciproca, che manca e che rende il PPP una soluzione spesso temuta dalle amministrazioni. 
C’è bisogno perciò di un cambio deciso di prospettiva sull’intera materia dei servizi pubblici.
Esatto. Mercato e PA devono ragionare in un’ottica di lungo termine. Vorrei perciò vedere Pubbliche Amministrazioni selezionare i propri progetti secondo una diversa cornice di valutazione rispetto al passato, che tenga conto di tutti i tipi di impatto che queste iniziative possono avere, senza limitarsi solo a quello economico, che resta chiaramente importante.
Altrettanto importanti sono, infatti, l’impatto ambientale e quello sociale, due aspetti troppo trascurati finora. Così come l’impatto sul sistema economico produttivo nel suo complesso, ovvero il contributo che tutti questi progetti possono dare al sistema Paese in termini di crescita, sviluppo e innovazione.
L’importante è sperimentare e trovare nuovi modelli capaci di avere impatti positivi in tutti gli ambiti elencati. Se non lo faremo, se ci limiteremo a interpretare, ad esempio, i fondi SIE e del PNRR come semplici budget disponibili senza considerarli un propulsore di reale cambiamento, nei modelli, nei processi e nelle progettualità, allora avremo sprecato un’occasione irripetibile.