Dall'emergenza pubblica ai progetti

Data di pubblicazione: 02 OTT 2012
Parla il presidente di Romeo Gestioni: l’amministrazione statale deve cambiare mentalità per diventare una azienda al servizio del cittadino. E il FM deve essere il modello.

di Mariantonietta Lisena

Da molti anni si discute su come introdurre i principi del Facility Management nella Pubblica Amministrazione, ma questo processo non sembra mai riuscire veramente a decollare. Per capire la natura di tale blocco e le possibili soluzioni ci siamo rivolti a chi da anni opera con il settore pubblico, Alfredo Romeo, presidente di Romeo Gestioni.
Nelle PA esiste davvero la cultura adatta a ricevere in pieno il FM?
No, non esiste ancora. Almeno non nel senso che invece sarebbe necessario. Esiste al massimo un interesse, forse un’attenzione o una curiosità, perché in realtà le PA si muovono ancora sull’onda dell’emergenza e non di una pianificazione strategica complessiva che, a quel punto, si potrebbe tramutare in autentico cambio di rotta. D’altra parte, perché ci sia un cambio forte di mentalità e di approccio a questi problemi, servirebbe un indirizzo politico forte, che però non è mai tanto forte da spezzare il cordone ombelicale con le clientele  che all’interno delle PA rappresentano serbatoi di consenso pesantissimi.

Si è parlato molto di spending review in questi mesi. Quali sono le aree delle PA dove intervenire per ottenere i risultati più ampi e incisivi?
Non è una questione di aree, ma di approccio, di metodo. Quale che sia l’area di intervento, la PA dovrebbe uscire dalla mentalità dell’emergenza, esaminare e analizzare attentamente i bisogni che deve fronteggiare, pianificare gli interventi per settori, per segmenti, e programmare acquisti e interventi con una pianificazione di medio termine che azzeri l’approccio emergenziale, l’intervento casuale, la “toppa al buco”. Se un processo del genere – ripeto, in qualunque area lo si voglia sviluppare – fosse portato a regime, non solo si avrebbero risultati ampi e incisivi, ma ci sarebbe una impressionante riduzione dei costi sia di intervento che di gestione generale.
Quali sono le problematiche specifiche che incontrate nel vostro rapporto con le PA?
Se volessi semplificare, direi i tempi, l’incapacità, la “resistenza passiva”, l’abitudine all’inerzia, la mancanza di responsabilità soggettiva e a livello dirigenziale. Ma il nodo vero è la mancanza di strategia industriale. Anche una PA dovrebbe essere amministrata come un’azienda, con regole severe, elasticità operativa, innovazione, formazione, incentivazione,  meritocrazia…  Invece stiamo ancora all’età della pietra non in termini di tecnologia, ma di mentalità. E con la certezza che alla fine nessuno pagherà… se non il fruitore finale che è il cittadino.
Come giudica in particolare la fase di acquisto dei servizi nelle PA? In cosa può migliorare?
Anche in questo serve un salto di qualità a livello di politica, di strategia industriale, di opzione per la modernizzazione delle teste e della mentalità più ancora che delle procedure e dei sistemi. Modernizzare non vuol dire solo avere un computer al posto della penna. Significa capire che, intorno a me PA sono cambiate le esigenze, i tempi e la consapevolezza dei fruitori finali. Se non si comprende che erogare un buon servizio significa creare consenso e allo stesso tempo valore per la collettività, si possono fare tutti i ragionamenti che si vogliono, ma non si fa il salto di qualità necessario. E dunque, parlando degli acquisti, spesso ci imbattiamo in PA che vogliono una cosa, ma che chiedono solo un segmento di quella cosa, perché non “vedono” il potenziale sviluppo nel tempo (e nelle ricadute per la collettività in termini di vantaggio e di economicità) del servizio che stanno mettendo in appalto.
Su questo fronte noi siamo sempre più orientati al Facility Management Globale e integrato sul territorio: business per noi, ma ricchezza e risorse economiche per la PA in questione, ma veniamo tacciati – magari – di “ingordigia” imprenditoriale, invece di essere apprezzati per la “progettualità propositiva” dei nostri servizi sempre più elastici, sempre più tagliati su misura per il cliente, sempre più pensati per progetti integrati globali e non per funzioni settoriali.
Accade così che a Napoli prospettiamo un prototipo di gestone integrata economicamente autosostenibile di un pezzo di città, il Modello Insulae, che secondo noi fa risparmiare un sacco di soldi al Comune e offre ai cittadini servizi di qualità a parità di costo dei tributi. Stiamo proponendo cioè, un servizio di Facility avanzatissimo e sempre più integrato con il Property con l’obiettivo finale della valorizzazione, sottolineo economicamente autosostenibile del territorio. Ebbene, l’accusa più banale che ci fanno è che vogliamo mettere le mani sulla città, come nel film di Rosi. Non ci si rende conto che se non si mettono le mani nella città in un certo modo, questa degraderà rapidamente e il cittadino sarà sempre più insoddisfatto del servizio che continua a pagare salatissimo. Insomma si fa della demagogia, e non si governano i servizi. Forse non li si vuole governare, perché migliorare e perfezionare comportano poi la necessità di fare sempre meglio. E questo costa in termini di impegno… e qui torniamo alla mentalità da cambiare…
Come dovrebbe evolversi Consip per diventare più efficace? E come giudica le altre centrali d’acquisto presenti in Italia?
L’evoluzione si può avere solo studiando e perfezionando la griglia dei bisogni, analizzando le nuove domande, le nuove esigenze, il moltiplicarsi delle varietà dei servizi che vengono richiesti dal mercato. Se si facesse questo studio con sistematicità, con approfondimenti attenti, confrontandosi con il mercato che corre, evolve, cambia, muta e scopre nuove esigenze, si potrebbero sempre più integrare i servizi in funzione dei vari segmenti del territorio e, a quel punto sarebbe più facile adottare importanti economie di scala. L’obiettivo finale dovrebbe essere il Facility Territoriale: in sintesi, guardare oltre un “oggetto” e studiare la complessità dell’insieme.
Quanto alla seconda parte della domanda, rispondo che Consip è l’unica centrale d’acquisto in Italia. E l’unica che può competere con quella francese che ha tracciato la via e che ha una tradizione – anche evolutiva – assolutamente invidiabile.
Quali sono i maggiori pregi e difetti di una PA nel suo rapporto con la gestione dei servizi?
I pregi, se proprio siamo certi di volerne trovare, sono nella tradizione, nella conoscenza. Voglio dire che lì dove ci si imbatte in una PA forte, efficiente, gestita da persone capaci, io azienda lavoro meglio. Ho più facilità ad agire con persone che fanno della competenza il proprio punto di forza in termini di agilità e correttezza. E come azienda mi sento anche tutelato. Se questa competenza è invece fittizia o ottusa, la macchina s’inceppa. E i difetti diventano quelli di cui abbiamo già parlato.
Cosa possono fare le società di FM per velocizzare l’evoluzione delle PA?
Rappresentare dei modelli di efficienza e di innovazione da copiare. Ma il nodo non sono le aziende, che stanno sul mercato e vivono ogni giorno di competizione, velocità, efficienza, innovazione. Il nodo è il confronto che la pubblica amministrazione magari non può avere perché il Legislatore non lo prevede. Ma solo con il confronto e con la conoscenza di quelle fasi evolutive che il mercato e le aziende attraversano, si può arrivare a una normativa più efficiente e trasparente, per ottimizzare il rapporto tra pubblico e privato. Un rapporto che è sempre più necessario, ma che è costruito ancora su normative arcaiche. E oggi, invece, una forte semplificazione è necessaria. La velocità è necessaria. Anche per una centrale d’acquisto, per esempio, regolamenti certi e velocità, significano efficienza e risparmio. E per un’azienda, a scalare, l’opportunità di pianificare, organizzare, semplificare, ottimizzare.
Avete incontrato casi di gestione particolarmente virtuosa nell’ambito delle PA?
Un caso assolutamente speciale è stato quello che per cinque anni ci ha visto collaborare con il Ministero dell’Economia. Un progetto attuato, che prevedeva servizi articolati alle persone oltre che al fabbricato. Siamo riusciti a portare a sintesi unitaria tutte le esigenze di gestione dei servizi richiesti, con predisposizione e realizzazione,  di tutti i servizi, attività, prestazioni, interventi e lavori occorrenti per garantire la completa e costante efficienza dell'edificio, in ogni sua singola componente strutturale, impiantistica, funzionale e di dotazione, anche attraverso eventuali adeguamenti funzionali e normativi, e delle relative pertinenze ed aree esterne. Ebbene, l’adozione di una “centrale di governo” in cui venivano costantemente riversati e monitorati i bisogni del committente, ha permesso la realizzazione di una sinergia fortissima con noi. Una integrazione, tra esigenze della committenza ed erogazione del servizio da parte nostra, che non solo non aveva precedenti, ma che potrebbe (e direi, dovrebbe) essere utilizzata a modello proprio nel senso dell’innovazione e della semplificazione di cui si parlava prima.